giovedì 25 luglio 2013

Legame "Genitori - figli"



Mi sembra opportuno integrare il discorso fatto la precedente volta sulla comunicazione in famiglia,  vista come cerniera fra il bambino e la società, in quanto avere cura della relazione genitoriale e, quindi, avere cura della formazione dei figli, implica imparare l’ascolto di sé. Si tratta di imparare ad ascoltare se stessi per imparare ad ascoltare l’altro. Si tratta di guardare con occhi nuovi una persona che proviene da noi ma che dobbiamo “trasportare” verso una vita autonoma e responsabile.
Probabilmente se fosse possibile tracciare delle linee guida per la costruzione di un legame “genitori-figli” l’ascolto sarebbe uno dei primi punti da sottolineare. Esso risulta essere il mezzo per rendere senso alla vita degli altri e con gli altri. Serve per non imporsi ma rispettare l’essenza dell’altro e dargli la giusta importanza, in un mondo dove spesso sembra regnare il dominio e lo sfruttamento dell’altro.
Ulteriori linee guida possono essere rappresentate da azioni molto collegate all’argomento del mio blog: l’empatia, la capacità di porgere la parola, quella di porgere l’attenzione ed, infine, quella di essere una guida morale ed etica consapevole. Questi quattro punti verranno trattati in modo più approfondito la prossima volta.

5 commenti:

  1. Ciao, sono una ragazza di vent'anni che, non avendo esperienza diretta nel ruolo di genitore, si limiterà a commentare basandosi esclusivamente sulla proprio vissuto di figlia. Devo ammettere che il tuo post mi ha fatto riflettere parecchio sul rapporto che ho con i miei genitori, con i quali fino a poco tempo fa parlavo spesso dei miei problemi: sapevo di essere ascoltata e capita, ma soprattutto non giudicata come invece rischiava di accadere con altri confidenti, e lo stesso valeva per loro. Questo rapporto, pur rispettando le "norme" non scritte che caratterizzano il legame "genitori-figli" (non si tratta di una relazione amicale, ma genitoriale), si è rivelato sereno e felice proprio grazie ad un equilibrio tra parola e ascolto: non si trattava, come sottolinei più volte nel tuo post, di imporre la propria opinione, ma di condividerla, talvolta anche in maniera non verbale. Si, perché secondo me la capacità di ascoltare non concerne solo l'ambito verbale, ma consiste anche, e soprattutto, nel saper interpretare sguardi e gesti che spesso hanno una portata comunicativa ben maggiore delle semplici parole. Per svariati motivi, oggi non posso più vantarmi di aver mantenuto questo rapporto, ma sono comunque grata del fatto di averlo esperito e di sicuro cercherò di instaurare un legame simile anche con i miei figli.

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    1. Ti capisco bene, anch'io ho un rapporto molto particolare con mio padre, sono più le volte che ci "becchiamo" di quelle in cui parliamo tranquillamente. E' difficile migliorare i rapporti con i propri genitori perchè ci troviamo in un'età (anche se dicono che dovremmo già averla superata, ma non è vero) in cui ci consideriamo grandi e vogliamo fare quello che reputiamo più giusto, eppure molte volte i nostri genitori non la pensano come noi e ci ostacolano. L'unica cosa che possiamo fare è cercare di sforzarci e metterci anche nei loro panni oppure, nel caso in cui continuassimo a non capire, parlarne direttamente con loro. Non è assolutamente una cosa facile ma almeno bisogna provarci. Cerca di non alzare un muro tra te e loro perchè farebbe solo del male ad entrambi.
      Con quanto hai detto successivamente concordo pienamente: comunicare non significa solo parlare ma anche tener conto della comunicazione non verbale.Difficilmente si può capire quanto viene detto da una persona se non si riesce a cogliere anche tutti gli aspetti che ci stanno dietro: sguardo, tono di voce, gestualità, ...
      Quante volte ci è capitato di dire qualcosa intendendo esattamente l'opposto? Solo chi dà la giusta importanza all'intero contesto, oltre alle parole, può riuscire a cogliere il vero significato di quella frase.
      Spesso si riesce a parlare meglio quando non si apre bocca.

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  2. Salve, sono un padre di un ragazzo di diciassette anni, ho letto il post e i vostri commenti e non ho potuto fare a meno di pensare al rapporto che ho con mio figlio, un rapporto basato sul dialogo e sulla condivisione dei suoi problemi sin da quando era bambino. Ho sempre cercato di fare in modo di non opprimerlo, evitando di insistere e di impormi, ma comunque facendo in modo di indirizzarlo verso la strada giusta...
    Col passare degli anni e con l’avanzare dell’adolescenza però questo rapporto ha cominciato a smorzarsi fino ad arrivare al giorno d'oggi in cui parlo molto poco con lui e soprattutto di lui. Mi rendo conto che la cosa sia abbastanza “normale”, un sacco di ragazzi della sua età non parlano con i propri genitori, però vorrei cercare di recuperare in qualche modo. Alcune volte, quando torna a casa da scuola e lo vedo triste o giù di morale gli chiedo come sia andata la giornata e lui si limita soltanto a rispondermi con un banale “normale” e se provo ad insistere cercando di estrapolare qualche altra informazione si stizzisce e se ne va da solo in camera sua.
    Leggendo questo post mi son reso conto però di sbagliare, che dovrei puntare di più sull’ascolto ed evitare magari di dare consigli o insistere con le domande.

    Chiedo un vostro consiglio su come comportarmi, visto che siete anche quasi sue coetanee. Vi ringrazio in anticipo.

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    1. I giovani di quell'età si trovano in un periodo un po' particolare, lei lo saprà di certo molto bene, e spesso tendono a chiudersi e a non parlare con i genitori perchè li vedono come figure adulte subito pronte a criticarli e giudicarli, anche se spesso poi in realtà non è così. Molto dipende da persona a persona perchè ci sono ragazzi che tendono ad appoggiarsi ugualmente all'aiuto e ai consigli dei genitori, altri invece che si allontanano pian piano.
      Probabilmente suo figlio è alla ricerca di una propria autonomia ed indipendenza e pensa che per ottenerla debba fare tutto da sè. In questa fase di vita i giovani ritengono più opportuno parlare con i coetanei rispetto ai genitori perchè i primi "sanno come si sentono" mentre i secondi "hanno vissuto in un tempo diverso e non capiscono nulla"; questi spesso sono i pareri degli adolescenti a riguardo.
      Penso sia normale che un ragazzo appena tornato a casa da scuola risponda con un semplice "normale", io stessa lo facevo. La cosa più importante è capire che dietro a quel "normale" in realtà c'è un mondo intero ma che non sempre si ha voglia di parlarne, un po' per stanchezza e un po' per pigrizia. Penso che sia giusto che lei gli lasci i suoi spazi e i suoi tempi ma non per questo significa che non deve più fargli domande o interessarsi a lui, semplicemente deve cercare di farlo senza essere troppo insistente ma fecendogli capire che per lui c'è in qualunque momento.
      Non sempre è facile ascoltare i propri figli e per questo motivo spesso i genitori si rassegnano ad avere un rapporto civile con loro ma non realmente vissuto,m cosa assolutamente sbagliata.
      Se vuole che suo figlio parli di più con lei le consiglio di cercare di essere lei il primo ad aprirsi con lui anche parlando dei suoi problemi o di ciò che ha fatto a lavoro, facendogli così capire che dialogare è molto meglio che tenersi tutto dentro. Lo apprezzerà sicuramente.
      Spero di esserle stata utile.

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    2. Grazie infinite per il consiglio. Cercherò di più il dialogo con mio figlio, facendo io, come si suol dire, "il primo passo". Spero davvero che apprezzi il gesto, in quel caso mi sarà stata di grande aiuto.

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